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L'impatto degli alimenti selvatici sul microbiota intestinale: uno studio rivoluzionario

Il rapporto tra alimentazione e microbiota intestinale rappresenta uno degli ambiti di ricerca più affascinanti della nutrizione moderna. Un recente studio pubblicato su Scientific Reports ha esplorato un territorio inesplorato: l'impatto di una dieta composta esclusivamente da alimenti selvatici sulla composizione della flora batterica intestinale.

Il microbiota intestinale nell'era moderna

Il microbiota umano è profondamente influenzato dallo stile di vita occidentale moderno. Le popolazioni che consumano alimenti industriali altamente processati, ricchi di grassi e zuccheri, presentano comunità microbiche caratterizzate da una ridotta diversità tassonomica e da un aumento di batteri associati a infiammazione e malattie immuno-mediate, come gli enterobatteri e i degradatori di muco.

Al contrario, le popolazioni con stili di vita più tradizionali mostrano profili microbici caratterizzati da una maggiore biodiversità batterica e dalla presenza di taxa con funzioni benefiche per la salute, come il Prevotella e altri batteri produttori di acidi grassi a catena corta (SCFA). Il microbioma - inteso come l'insieme dei genomi di questi microrganismi - riflette quindi le diverse capacità metaboliche associate a questi differenti pattern dietetici basati su alimenti non processati.

Il design sperimentale: un mese di alimentazione “paleolitica” autentica

Lo studio ha seguito un approccio metodologico unico nel suo genere. Un singolo partecipante, esperto raccoglitore di alimenti selvatici, ha raccolto campioni fecali quotidiani durante un periodo di otto settimane, suddiviso in tre fasi distinte:

  • Due settimane iniziali: dieta occidentale normale
  • Quattro settimane centrali: consumo esclusivo di alimenti selvatici
  • Due settimane finali: ritorno alla dieta normale

Durante il periodo di alimentazione con alimenti selvatici, i principali alimenti consumati erano castagne e ghiande, solitamente macinate per preparare porridge, integrate da nocciole, semi di ninfea gialla, verdure fresche selvatiche, bacche essiccate e piccole quantità di carne di cervo e pesce oceanico. Gli alimenti venivano preparati utilizzando tecnologie "primitive": cottura su fuoco aperto e lavorazione con pietre da macinazione e schegge di selce.

Cambiamenti drammatici nella composizione del microbiota

L'analisi del sequenziamento del gene 16S rRNA ha rivelato modificazioni straordinarie nella composizione del microbiota intestinale. Durante il periodo di alimentazione con alimenti selvatici, si è verificato un arricchimento significativo di diverse famiglie batteriche, tra cui Lachnospiraceae, Streptococcaceae, Erysipelatoclostridiaceae, Butyricicoccaceae ed Eggerthellaceae.

Parallelamente, si è osservata una deplezione di Bifidobacteriaceae, Rikenellaceae, Oscillospiraceae, Ruminococcaceae, Clostridiaceae, Dialisteraceae, Acutalibacteriaceae e Peptostreptococcaceae. Questi cambiamenti nella struttura del microbiota hanno prodotto un incremento graduale della diversità alfa dal periodo pre-alimentazione selvatica fino al periodo post-intervento.

L'analisi delle reti batteriche: un ecosistema microbico in trasformazione

Uno degli aspetti più interessanti dello studio riguarda l'analisi delle reti di co-abbondanza batterica del microbiota. I ricercatori hanno identificato sei gruppi di co-abbondanza (CAGs) dominati rispettivamente da Blautia, Streptococcus, Coprococcus comes, Erysipelatoclostridium, Faecalibacterium prausnitzii e Ruminococcus bicirculans.

L'analisi topologica ha identificato Faecalibacterium prausnitzii e Blautia come taxa chiave (keystone) per la comunità microbica, con i valori più elevati di centralità di vicinanza, centralità di intermediazione e grado di connessione nel network del microbiota.

Durante il periodo pre-alimentazione selvatica, il microbiota era caratterizzato da un CAG centrato su F. prausnitzii, con diversi degradatori di glicani co-abbondanti come Bacteroides spp. e Bifidobacterium. La composizione del microbiotadurante il periodo di alimentazione con alimenti selvatici si organizzava invece attorno al CAG di Blautia, includendo numerosi batteri noti per la degradazione delle fibre e la produzione di SCFA.

Persistenza delle modificazioni del microbiota

Un elemento cruciale emerso dallo studio riguarda la persistenza parziale delle modificazioni del microbiota. Mentre la maggior parte delle alterazioni osservate nella struttura del microbiota intestinale durante il periodo di alimentazione con alimenti selvatici è tornata ai valori iniziali nel periodo post-intervento, alcune famiglie batteriche (Bifidobacteriaceae, Rikenellaceae, Oscillispiraceae e Dialisteraceae) sono rimaste a livelli comparabili a quelli del periodo di alimentazione selvatica.

Particolarmente interessante è stato l'ulteriore arricchimento della famiglia Akkermansiaceae nel periodo post-alimentazione selvatica, suggerendo che l'intervento dietetico possa indurre riorganizzazioni persistenti della comunità microbica intestinale.

Implicazioni funzionali del microbioma: dalla tassonomia al metabolismo

L'analisi funzionale del microbioma inferita attraverso PICRUSt2 ha rivelato che il potenziale genetico complessivo durante il periodo di alimentazione con alimenti selvatici mostrava una maggiore propensione per la degradazione dell'amido, la biosintesi di fenilalanina, tirosina e triptofano, e sorprendentemente per la degradazione dell'atrazina.

Questi cambiamenti nelle capacità metaboliche del microbioma riflettevano chiaramente le modificazioni dietetiche: il forte affidamento su noci ricche di amido (ghiande e castagne) e il ridotto consumo di prodotti animali, che potrebbe aver aumentato la necessità di biosintesi di aminoacidi da parte del microbiota. L'aumento della capacità di degradazione dell'atrazina nel microbioma potrebbe essere correlato all'acquisizione di microorganismi degradatori di erbicidi attraverso l'ingestione di alimenti selvatici raccolti in aree precedentemente agricole.

Confronto con altri interventi dietetici

Uno degli aspetti più significativi dello studio è emerso dal confronto con precedenti ricerche su modificazioni dietetiche. Il cambiamento nella diversità beta del microbiota tra la dieta occidentale iniziale e l'alimentazione con alimenti selvatici è risultato significativamente maggiore rispetto ad altri interventi dietetici severi, come il passaggio completo a diete esclusivamente vegetali o animali.

Quando confrontato con dati pubblicati di comunità di cacciatori-raccoglitori, agricoltori rurali e popolazioni urbano-industriali, il microbiota dello studio si è posizionato in una zona intermedia tra le popolazioni urbano-industriali e i nativi americani/agricoltori rurali, senza tuttavia raggiungere la configurazione tipica del microbiota delle popolazioni tradizionali.

L'assenza degli "old friends" nel microbiota

Contrariamente alle aspettative, lo studio non ha mostrato un aumento dei cosiddetti "old friends" nel microbiota - taxa batterici come Treponema, Prevotella e Succinivibrio che probabilmente facevano parte del microbiota ancestrale umano ma sono regolarmente assenti nelle popolazioni occidentali.

Le modificazioni osservate nel microbiota hanno coinvolto quasi esclusivamente i taxa già presenti nella comunità microbica, senza l'aggiunta di nuove specie. Questo suggerisce che il microbiota contemporaneo, anche sotto significative modificazioni dietetiche, potrebbe essere vincolato nella sua capacità di riacquisire taxa microbici ancestrali perduti.

Meccanismi di successione del microbiota

L'analisi della successione temporale del microbiota ha rivelato pattern distinti piuttosto che cambiamenti stocastici. La proporzione ponderata di specie mantenute, acquisite e perse ha mostrato un rapporto costante di specie condivise o nuovamente acquisite tra punti temporali consecutivi, mentre la proporzione di specie perse è diminuita significativamente durante i periodi di alimentazione con alimenti selvatici e post-intervento.

Il periodo pre-alimentazione selvatica era caratterizzato dalla presenza costante nel microbiota di F. prausnitzii, Collinsella, Bacteroides vulgatus e Blautia. Durante l'alimentazione con alimenti selvatici, il core microbiota includeva Blautia, Bacteroides cellulosilyticus, Eggerthella lenta ed Erysipelatoclostridium. Il periodo post-alimentazione selvatica mostrava il numero più elevato di specie persistenti nel microbiota, includendo sia taxa caratteristici del periodo pre-intervento che specie completamente nuove emerse dopo l'alimentazione con alimenti selvatici.

Il ruolo centrale di Blautia nel microbiota

Uno degli aspetti più rilevanti emersi dallo studio riguarda il cambio di specie chiave nel microbiota da F. prausnitzii a Blautia durante la transizione verso l'alimentazione con alimenti selvatici. Questo supporta l'interesse emergente per il genere Blautia, recentemente proposto come candidato probiotico di nuova generazione per il suo ruolo nel migliorare malattie infiammatorie e metaboliche.

Questi cambiamenti sono stati associati a una riorganizzazione complessiva dei batteri produttori di butirrato nel microbiota, da una configurazione dominata da F. prausnitzii a una configurazione dove il contributo di A. hadrus ed E. hallii era più rilevante. Questa transizione evidenzia come le modificazioni dietetiche verso alimenti non processatipossano influenzare non solo la composizione del microbiota ma anche le sue capacità funzionali complessive, riflesse nel microbioma.

 

Link all'articolo: https://www.nature.com/articles/s41598-025-00319-5